mercoledì, febbraio 12, 2003
La stazione
Ci sono mattine, o forse tutte, in cui è davvero difficile svegliarsi. Costa davvero tanto uscire di casa e riuscire a mantenere il passo giusto per non perdere il treno.
Ma alcune mattine sono davvero le peggiori, quelle che definisco “mattine post-spettacolo”.
Cioè mattine in cui mi sveglio, faccio le solite cose, ma in cui durante il viaggio verso il treno, sento le palpebre stranamente pesanti, a volte mi ritrovo a camminare con occhi semi-chiusi e spesso mi rendo conto solo a metà tragitto che sono per strada e che sono in ritardo.
Oggi è uno di questo è uno di quei giorni post-spettacolo. E questa mattina sono così stanca che ormai nei pressi della stazioni mi rendo conto che sto gelando, ho dimenticato la giacca aperta e giustamente inizio ad avere i brividi.
Fino ad ora ho incontrato una decina di persone, sono stanca ma le ho viste e tutte, ripeto tutte mi hanno fissato negli occhi passandomi accanto.
Non sono narcisista ma mi fermo un secondo e mi guardo nello specchietto della macchina parcheggiata: mi sono lavata la faccia?
Vedo i miei occhi riflessi nel vetro e mi accorgo che hanno una luce strana, questa mattina sono stranamente luminosi.
Nei miei occhi vedo la serata precedente, vedo le luci spegnersi e vedo l’inizio e la fine di tutto lo spettacolo che la sera prima si sono goduta seduta su quelle poltrone rosse.
Probabilmente ho dormito poco, e con un certo accento continuo sicura e addormentata la mia strada. Il tempo di ripetere tra me e me “you can ear music with no sound” e mi ritrovo ad accelerare il passo mentre scendo le scale della stazione.
I soliti rumori mi svegliano e mi fanno notare tutte le persone che mi stanno venendo in contro.
Appena scese dal treno proveniente da Saronno. Ancora una volta, molte di esse mi fissano, più o meno addormentate come me … cosa avrò questa mattina?
Eccola, scende dalla scala con il suo solito passo spedito, questa mattina è addormentata è evidente che questa è una di quelle mattine post-spettacolo.
Chissà questa volta che razza di spettacolo avrà visto, chissà quali ballerini avrà salutato … basta dare uno sguardo nel profondo dei suoi occhi!
È evidente, “Serata Ravel” questo dicono … e si riesce a vedere bene, l’eccitazione per l’ultimo pezzo.
Lo attendeva da tempo “Bolero” .. da tempo pensava a cosa le avrebbe suscitato, da tempo canticchiava quelle note scritte da Mister R.
E se si ha la pazienza di guardare nei suoi occhi con attenzione si può ancora vedere la Guillem, sì proprio lei la ballerina francese che ormai balla nel suo cuore da tempo; la si può vedere a piedi nudi, alzare ritmicamente le mani, la si può vedere con i suoi capelli sciolti lunghissimi.
Si può apprezzare il suo corpo, sinuoso muoversi al centro del tavolo rosso.
Il palco era precisamente al centro dei suoi occhi verdi.
E su palco, piccolina ma energica la figura di Sylvie, vestita come il Bolero richiede, muovere le sue lunghe gambe affusolate!
Bho, sono così addormentata che non ci faccio caso, salgo a fatica i gradini che mi portano direttamente sul binario, incontro le solite facce, i soliti saluti, i soliti volti ignoti.
Nelle orecchie mi rimbomba un pezzo, ritmico, sinuoso che non fa che intrufolarsi nella mia testa. Sempre le stesse note, piano piano si fanno più energiche e mi torna alla mente la serata precedente.
Seduta su quella dannata poltrona scomodissima, con lo sguardo fisso davanti a me, anche volendo non riuscivo a non fissare il palco.
Lei era lì in piedi, ondulante come le note che piano piano si facevano sempre più veloci.
Le dita del pianista erano così veloci, e la musica usciva dalle sue dita … era incredibile, come delle singole note messe una accanto all’altra potessero generare certe melodie.
E sul palco, la Brazzo … si muoveva come se le note stesse, singole e ipnotizzanti la muovessero.
Il rumore assordante del treno mi sveglia da questo tuffo nel passato. Mi tocca salire, quasi ormai non lo faccio più per mia volontà!
Mi basteranno cinque minuti e dovrò scendere … le stesse azioni tutte le mattine, le solite quattro chiacchiere con i compagni di viaggio, quattro parole, le solite inutili battute.
Piano piano smaltirò quella musica, piano piano, camminando nelle vie nebbiose e noiose tutto il corpo di ballo farà il suo adagio, e piano piano scomparirà dai miei ricordi.
Il loro nomi continueranno a viaggiarmi nella testa fino alla quinta ora, e mi torneranno alla mente i passi a due che mi hanno mozzato il fiato.
Ascolterò le solite lezioni, prenderò appunti ed ad ogni pausa della voce della prof avrò il tempo, di rivedere e risentire quella serata, in cui ero scomodamente seduta nell’angolo destro del teatro, ma con il cuore pieno ed il pensiero ormai rivolto al backstage in cui per l’ennesima vola potro vedere quei ballerini, uscire dalla porta rumorosa, sudati e stanchi.
Ci sono mattine, o forse tutte, in cui è davvero difficile svegliarsi. Costa davvero tanto uscire di casa e riuscire a mantenere il passo giusto per non perdere il treno.
Ma alcune mattine sono davvero le peggiori, quelle che definisco “mattine post-spettacolo”.
Cioè mattine in cui mi sveglio, faccio le solite cose, ma in cui durante il viaggio verso il treno, sento le palpebre stranamente pesanti, a volte mi ritrovo a camminare con occhi semi-chiusi e spesso mi rendo conto solo a metà tragitto che sono per strada e che sono in ritardo.
Oggi è uno di questo è uno di quei giorni post-spettacolo. E questa mattina sono così stanca che ormai nei pressi della stazioni mi rendo conto che sto gelando, ho dimenticato la giacca aperta e giustamente inizio ad avere i brividi.
Fino ad ora ho incontrato una decina di persone, sono stanca ma le ho viste e tutte, ripeto tutte mi hanno fissato negli occhi passandomi accanto.
Non sono narcisista ma mi fermo un secondo e mi guardo nello specchietto della macchina parcheggiata: mi sono lavata la faccia?
Vedo i miei occhi riflessi nel vetro e mi accorgo che hanno una luce strana, questa mattina sono stranamente luminosi.
Nei miei occhi vedo la serata precedente, vedo le luci spegnersi e vedo l’inizio e la fine di tutto lo spettacolo che la sera prima si sono goduta seduta su quelle poltrone rosse.
Probabilmente ho dormito poco, e con un certo accento continuo sicura e addormentata la mia strada. Il tempo di ripetere tra me e me “you can ear music with no sound” e mi ritrovo ad accelerare il passo mentre scendo le scale della stazione.
I soliti rumori mi svegliano e mi fanno notare tutte le persone che mi stanno venendo in contro.
Appena scese dal treno proveniente da Saronno. Ancora una volta, molte di esse mi fissano, più o meno addormentate come me … cosa avrò questa mattina?
Eccola, scende dalla scala con il suo solito passo spedito, questa mattina è addormentata è evidente che questa è una di quelle mattine post-spettacolo.
Chissà questa volta che razza di spettacolo avrà visto, chissà quali ballerini avrà salutato … basta dare uno sguardo nel profondo dei suoi occhi!
È evidente, “Serata Ravel” questo dicono … e si riesce a vedere bene, l’eccitazione per l’ultimo pezzo.
Lo attendeva da tempo “Bolero” .. da tempo pensava a cosa le avrebbe suscitato, da tempo canticchiava quelle note scritte da Mister R.
E se si ha la pazienza di guardare nei suoi occhi con attenzione si può ancora vedere la Guillem, sì proprio lei la ballerina francese che ormai balla nel suo cuore da tempo; la si può vedere a piedi nudi, alzare ritmicamente le mani, la si può vedere con i suoi capelli sciolti lunghissimi.
Si può apprezzare il suo corpo, sinuoso muoversi al centro del tavolo rosso.
Il palco era precisamente al centro dei suoi occhi verdi.
E su palco, piccolina ma energica la figura di Sylvie, vestita come il Bolero richiede, muovere le sue lunghe gambe affusolate!
Bho, sono così addormentata che non ci faccio caso, salgo a fatica i gradini che mi portano direttamente sul binario, incontro le solite facce, i soliti saluti, i soliti volti ignoti.
Nelle orecchie mi rimbomba un pezzo, ritmico, sinuoso che non fa che intrufolarsi nella mia testa. Sempre le stesse note, piano piano si fanno più energiche e mi torna alla mente la serata precedente.
Seduta su quella dannata poltrona scomodissima, con lo sguardo fisso davanti a me, anche volendo non riuscivo a non fissare il palco.
Lei era lì in piedi, ondulante come le note che piano piano si facevano sempre più veloci.
Le dita del pianista erano così veloci, e la musica usciva dalle sue dita … era incredibile, come delle singole note messe una accanto all’altra potessero generare certe melodie.
E sul palco, la Brazzo … si muoveva come se le note stesse, singole e ipnotizzanti la muovessero.
Il rumore assordante del treno mi sveglia da questo tuffo nel passato. Mi tocca salire, quasi ormai non lo faccio più per mia volontà!
Mi basteranno cinque minuti e dovrò scendere … le stesse azioni tutte le mattine, le solite quattro chiacchiere con i compagni di viaggio, quattro parole, le solite inutili battute.
Piano piano smaltirò quella musica, piano piano, camminando nelle vie nebbiose e noiose tutto il corpo di ballo farà il suo adagio, e piano piano scomparirà dai miei ricordi.
Il loro nomi continueranno a viaggiarmi nella testa fino alla quinta ora, e mi torneranno alla mente i passi a due che mi hanno mozzato il fiato.
Ascolterò le solite lezioni, prenderò appunti ed ad ogni pausa della voce della prof avrò il tempo, di rivedere e risentire quella serata, in cui ero scomodamente seduta nell’angolo destro del teatro, ma con il cuore pieno ed il pensiero ormai rivolto al backstage in cui per l’ennesima vola potro vedere quei ballerini, uscire dalla porta rumorosa, sudati e stanchi.